L’adozione di stili di vita e abitudini alimentari salutari è un caposaldo nella prevenzione, mentre IA e nuove tecnologie possono essere d’aiuto nel monitoraggio delle persone a rischio
Statisticamente, una diagnosi di carcinoma epatico - o epatocarcinoma - è spesso posta in relazione con precedenti infezioni da virus dell’epatite B o C, ancora oggi considerate due condizioni in grado di favorire lo sviluppo di tumore del fegato. Lo scorso anno, in Italia le diagnosi di epatocarcinoma sono state quasi 13mila (dati AIRTUM) ma il profilo dei nuovi malati sta variando, con un deciso incremento dei casi correlati a problematiche metaboliche (ad esempio obesità, diabete e dislipidemia) o ad abitudini dannose (il pronunciato consumo di alcol, soprattutto tra le fasce più giovani di popolazione). Ciò contribuisce ad alimentare il dibattito circa la possibilità di intercettare prima i pazienti, anticipando le diagnosi e, di conseguenza, prendendo il tumore in una fase in cui le cure possono essere maggiormente efficaci.
IN SALITA I CASI COLLEGATI ALLA STEATOSI ASSOCIATA A DISFUNZIONE METABOLICA
A livello globale, il carcinoma epatico non è solo uno dei tumori a più elevato tasso di mortalità, insieme a quello del pancreas, ma anche uno dei più diffusi: secondo un articolo apparso sulla rivista The Lancet Commissions, il numero di nuove diagnosi da qui al 2050 è destinato quasi a raddoppiare, passando da circa 870mila a più di un milione e mezzo.
Tra le ragioni del fenomeno figura il dilagare di cattive abitudini, come la sedentarietà, la tendenza a prediligere un’alimentazione grassa o l’adozione di stili di vita pericolosi - su tutti l’aumento del consumo di bevande alcoliche. Come risultato, sono sempre di più le persone affette da malattia epatica cronica: in particolare sono aumentati casi di steatosi epatica associata a disfunzione metabolica (MASLD), ossia correlata a uno o più fattori di rischio cardiometabolico (Indice di Massa Corporea ≥ 25 kg/m2, diabete mellito di tipo 2, dislipidemia o ipertensione).
La MASLD, che include la più grave steatoepatite associata a disfunzione metabolica (MASH), consiste in un accumulo di grassi nel fegato che si accompagna all’instaurarsi di un quadro infiammatorio (flogosi) e alla sostituzione del tessuto epatico sano con quello fibrotico. Spesso la steatosi è considerata il primo stadio di una sequenza dannosa che, passando per la cirrosi, può comportare lo sviluppo di un cancro al fegato. Infatti, come emerge da un recente studio condotto in Italia, la percentuale di casi di epatocarcinoma associati alla presenza di MASLD è significativamente aumentata nel tempo (dal 50,4% nel periodo 2002-2003 al 77,3% nel biennio 2018-2019).
Sebbene alcuni pazienti con MASLD riportino sintomi generici, fra cui stanchezza, malessere, oppure dolore o fastidio nella zona destra dell’addome, nella gran parte delle situazioni questa patologia è asintomatica. Di conseguenza, la diagnosi non è affatto immediata, sebbene sia possibile ricorrere ad analisi del sangue di base per anticiparne l’eventuale riscontro, soprattutto nelle categorie di persone a maggior rischio (con diabete o obese). Su uno degli ultimi numeri della rivista The Lancet Regional Health un gruppo di ricerca costituito da medici statunitensi ed europei invita ad un esame accurato delle persone considerate a maggior rischio di MASLD, sia attraverso metodiche strumentali e di imaging (ecografia e risonanza magnetica), sia attraverso analisi del sangue.
ALGORITMI DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER INDIVIDUARE LE PERSONE A RISCHIO DI TUMORE
Nel frattempo, uno studio pubblicato su Nature Communications mostra i vantaggi dell’utilizzo di programmi di intelligenza artificiale per analizzare i dati di milioni di persone e correlare gli esiti di alcuni semplici esami con la probabilità di insorgenza di vari tipi di tumore, tra cui quello al fegato.
L’algoritmo messo a punto dai ricercatori della Queen Mary University di Londra e dall’Università di Oxford ha l’obiettivo di potenziare la diagnosi precoce in oncologia ed è il primo esempio di uno strumento che incorpora fattori come sesso, età, stato di salute, abitudini, storia familiare e sintomi, considerando la loro associazione con certi parametri dell’emocromo (come il livello di emoglobina o il numero e il tipo di globuli bianchi) e lo sviluppo di diverse forme di tumore.
I risultati dello studio rivelano che l’insorgenza di tumore al fegato è principalmente associata a un rialzo dei valori di bilirubina e fosfatasi alcalina, a una diminuzione del livello di albumina e alla positività a determinati esami virologici (virus dell’epatite B o C e dell’HIV). Inoltre, la presenza di carcinoma epatico appare correlata anche ai valori dei linfociti, nonché a bassi livelli di emoglobina nelle donne e di neutrofili negli uomini.
Naturalmente, avere un’alterazione nei valori della bilirubina o dei neutrofili non significa essere affetti da un cancro: ci sono svariate altre spiegazioni in grado di giustificare queste anomalie, che il clinico dovrà indagare caso per caso. Nessuno degli esami citati può rientrare nella categoria dei marcatori tumorali, pertanto è errato pensare che solo con il risultato di alcuni test ematici si possa arrivare a una diagnosi di cancro del fegato. Ciononostante, il monitoraggio nel tempo di questi parametri, soprattutto in categorie di persone a rischio di malattia, potrebbe essere utile a tracciare il quadro in evoluzione di una situazione potenzialmente pericolosa.
Insieme all’esito di analisi ecografiche eseguite regolarmente e alla raccolta di un’anamnesi dettagliata e precisa, anche i risultati di esami del sangue facilmente disponibili e poco costosi (come appunto l’emocromo o il test della bilirubina) possono perciò supportare il medico nella diagnosi precoce di tumori aggressivi come quello epatico.