26-11-2025
(Art director
Boomerang adv)
L’intelligenza artificiale nella pubblicità: genio o illusionista da baraccone?
Ormai l’intelligenza artificiale è ovunque. A giudicare dai social, basta un click per trasformare un copy mediocre in Shakespeare, un disegnino in Picasso e un video amatoriale in uno spot da Super Bowl. Fantastico, vero? Peccato che, quando ci provi davvero, ti ritrovi con immagini di mani a sette dita, testi che sembrano usciti dal retro di un biscotto della fortuna e video con facce che ricordano vagamente i sogni inquietanti dopo una cena pesante.
La verità è che l’AI è uno strumento. Bello, utile, intrigante. Ma non è la bacchetta magica di Harry Potter: se non c’è dietro qualcuno che conosce art direction, grafica, montaggio, scrittura e strategia, rimane un giocattolo rumoroso.
Il problema? I social ci mostrano solo il lato glamour: il capolavoro che sembra nato in dieci secondi, senza sudore né caffeina. Quello che non vedi sono le decine di tentativi falliti, le correzioni infinite, i dettagli storti che ti fanno venire voglia di spegnere tutto e tornare alla matita.
L’AI può essere utile, certo. Ti butta lì un layout, ti aiuta a mostrare al cliente un’idea in modo più chiaro. Ma se pensi di costruirci sopra una campagna intera senza l’intervento di professionisti, rischi solo di ottenere un castello di carte: scenografico in apparenza (forse), fragile nella sostanza.
Perché la pubblicità ha bisogno della sensibilità dell’uomo per emozionare davvero.
Adriano Conti ha studiato Disegno Industriale presso l’Università “La Sapienza” di Roma e conseguito la laurea specialistica in Design dei Sistemi presso l’ISIA di Roma.