Barbara Nappini: le donne in agricoltura sempre più sfruttate, servono misure per garantire loro dignità

Siamo tutti uguali ma le donne sono più dis-uguali degli altri. Il 25 novembre, giornata che denuncia l’orrore della violenza maschile sulle donne, si chiede alla società un’assunzione di responsabilità sulla condizione femminile, la trave nel piatto è che anche in agricoltura, le donne non sono solo sfruttate, ma “plurisfruttate”.

Nel quadro di un settore dove lo sfruttamento del lavoro è indiscutibilmente diffuso, le retribuzioni delle donne sono inferiori a quelle già estremamente basse dei braccianti uomini. Pertanto, a fronte di 7.200 euro medi annuali di guadagno per questi ultimi, indipendentemente da età, cittadinanza, titolo di studio e territorio di residenza, le lavoratrici guadagnano circa 1.800 euro annui in meno.

Il lavoro delle donne “vale” meno, le donne valgono meno: sono sfruttate nei campi, dove a iniqui trattamenti economici si aggiunge lo sfruttamento sessuale, in quanto caporali e braccianti considerano un loro diritto l’accesso al corpo delle lavoratrici, ritenuto una merce disponibile. E sfruttate a casa, dove familiari e mariti considerano naturale il loro impiego nei campi, non come vero e proprio lavoro, ma come ausilio alle economie familiari, in aggiunta all’enorme quotidiano carico di accudimento domestico.

Le lavoratrici in agricoltura risultano essere circa 300mila in Italia: quasi un terzo del totale dei lavoratori sotto contratto, ma potrebbero essere molte di più se si considerano i rapporti di lavoro totalmente informali, tra 50 e 57 mila persone secondo stime di ActionAid. Lavorano tutti i giorni per oltre 10 ore, sempre in piedi o ricurve, a contatto con agenti chimici velenosi, e, seppur contrattualizzate, le giornate di lavoro dichiarate sono meno di quelle svolte, così le lavoratrici restano escluse da molte misure di assistenza, come il sussidio di disoccupazione agricola e naturalmente la maternità, riconosciute solo con un numero di giornate di lavoro regolare annue superiore a 51. Le donne sono sottoposte a un abuso sistematico e sfaccettato, frutto di una condizione di fragilità strutturale e di un sistema che le pone in condizione di svantaggio regolarmente. È la fotografia che emerge dal puntuale studio dall’Osservatorio Placido Rizzotto, insieme a tutta la FLAI-CGIL, presentato qualche giorno fa, dal titolo (Dis)uguali, dal quale si evidenzia inoltre che per cambiare serve che, altrettanto strutturalmente, alle donne sia garantita un’adeguata rappresentanza politica e sindacale di genere, e misure che garantiscano al femminile le opportunità e la dignità che gli spetta di diritto in una società che si definisce “civile”.

Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia
da Il Fatto Quotidiano dell’1 dicembre 2025