Domenica 7 dicembre, nella giornata conclusiva del Convegno nazionale, Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori, dialogherà con Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Ac, e Domenico Simeone, professore ordinario di Pedagogia generale all’Università Cattolica. Il Servizio nazionale supporta tutte le realtà ecclesiali per quanto attiene alla tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. Tra i primi compiti c’è la promozione e l’accompagnamento delle attività di prevenzione e formazione a livello territoriale.
Dott.ssa Griffini, quanto è importante accompagnare la formazione degli educatori per maturare sempre di più la consapevolezza di una cura nelle relazioni al fine di favorire ambienti sicuri per i minori?
Non solo è importante, ma direi necessario. La tutela non è una app, ma un sistema relazionale curato. Le relazioni educative chiedono una formazione continua, in quanto necessitano di essere rilette alla luce del contesto in cui si sviluppano e delle sue evoluzioni, dei soggetti coinvolti, delle fasi del ciclo di vita che attraversano e degli eventi che si vivono insieme, dei rischi e delle protezioni che ne determinano gli esiti.
Uno dei vostri compiti è fornire sussidi e strumenti utili a chi si occupa di educazione con i minori e anche l’Ac ha prodotto una policy nel 2021. Sono sufficienti questi strumenti? Quali altri aspetti sono da valorizzare in una formazione che sappia tutelare i minori?
Gli strumenti se non diventano una bussola che orienta la formazione ordinaria degli educatori, rischiano di diventare codici per l’emergenza. È riscoprire, come ci ha detto papa Francesco nel convegno conclusivo del progetto Safe, e ripreso recentemente da papa Leone, la vocazione a essere artigiani dell’educare, promotori e garanti anzitutto di affidabilità. Garantire l’interesse del minore è integrare all’interno del proprio modello di funzionamento educativo la verifica dell’adeguatezza di coloro che sono posti a contatto con i minori, valutandone la scelta e formandoli alla consapevolezza di essere mandati a nome di una associazione. È la cultura del rendiconto e della corresponsabilità. È avere cura non solo di lavorare in équipe, ma formare e verificare tale lavoro in ordine allo stile relazionale che lo anima e alle esperienze vissute. Non c’è progettazione senza verifica.
In occasione dell’ultima rilevazione a maggio ‘25, l’arcivescovo Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei, ha invitato a non aver paura a parlare e affrontare questo tema per rendere la Chiesa e chi la vive sempre più credibile. Come fare tutto questo? Quali consigli dare agli educatori?
Far respirare ai ragazzi la libertà di porre domande, in quanto gli educatori stessi sanno garantirsi spazi di confronto critico, sanno accogliere le voci dissonanti, sanno ascoltare i campanelli di allarme. Definire uno stile condiviso che orienta lo stare con i minori: non isolarsi e creare rapporti privilegiati con alcuni. La sapienza evangelica dell’“inviò a due a due” ci preceda anche nelle attività educative. Bandire ogni forma di violenza, di denigrazione fisica e verbale verso i minori e tra i minori stessi. I minori sono soggetti e non oggetti da fotografare ed esibire sui profili social. Non si tratta di proibire gesti, ma di promuoverli nella chiarezza di significato per tutti, a partire dai minori. Avere cura della sicurezza degli spazi in cui si svolgono le attività. Ricordarsi che ogni minore è un figlio, quindi coinvolgere sempre i genitori.
Oggi il “servizio per la tutela dei minori” è presente in tantissime diocesi. Come creare sinergie e collaborazioni sul territorio con realtà educative e di cura dei minori?
Anzitutto attraverso la presenza di rappresentati di tali realtà nei servizi diocesani per la tutela dei minori per creare reti condivise di salvaguardia. Creare progettazione formativa a partire dalle esperienze educative simili per tipologia. Per esempio, co-progettare formazioni per tutti i coordinatori e per tutti gli animatori e volontari delle attività estive di parrocchie e associazioni. Pur nelle specificità dei contesti, ci sono fattori di rischio e di protezione comuni. La coprogettazione nella formazione favorisce alleanze sistemiche preventive e interscambi istituzionali per la gestione della crisi. La sensibilizzazione culturale condivisa a partire dalla giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti. Riconoscere che ci sono persone che sono state ferite, imparare dalla loro storia è il primo e importante passo di una comunità che davvero si vuole rinnovare intorno alla salvaguardia dei piccoli e, in definitiva, della comunità stessa.
*l’intervista a Chiara Griffini è stata pubblicata nel numero di Segno inserto di Avvenire del 2 dicembre