Una proposta per salvare le razze suine autoctone

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Il commissario Filippini, in seguito al lancio dell’appello per la salvaguardia delle razze suine autoctone e dell’allevamento estensivo, apre a una collaborazione attiva con i tecnici di Slow Food e del settore biologico per migliorare le norme di intervento e di gestione della Peste Suina

«Personalmente credo che si debba mantenere e sostenere l’allevamento semi brado di razze autoctone e quello estensivo di suini, non necessariamente appartenenti a razze locali – afferma il commissario Filippini –.

È chiaro che ad agosto eravamo in guerra, un momento di vera e propria emergenza che per la prima volta il settore della suinicoltura del nostro Paese ha dovuto affrontare in forma così grave. Nel momento di massima crisi, quando in un giorno solo abbiamo avuto quattro focolai, dovevamo seguire una valutazione del rischio, la quale ci indicava quali erano gli elementi da considerare. Così, in alcuni casi, abbiamo dovuto depopolare, cioè abbattere tutti i soggetti presenti in un allevamento, anche se sani (circa 100 mila capi abbattuti n.d.r.). Ma tale scelta rappresenta sempre una sconfitta. Purtroppo, in quel frangente abbiamo dovuto chiedere un sacrificio agli allevatori. Se non lo avessimo fatto, ora non saremmo qui a discutere di come migliorare la norma.  Abbiamo creato una barriera, bloccando la Psa, perché non si estendesse oltre, specialmente nelle province di Brescia, Cremona, Mantova dove si allevano quattro milioni di suini, o nel cuneese dove se ne alleva un milione».

È il commento del commissario straordinario alla Peste Suina Africana (Psa), Giovanni Filippini, durante l’incontro online nato a seguito del lancio dell’appello che Slow Food – insieme a Federbio, Legambiente, Veterinari Senza Frontiere, Aiab, Associazione Rurale Italiana, Unione Coltivatori Italiani e Rare (l’associazione che si occupa delle Razze autoctone a rischio di estinzione) – ha rivolto nelle scorse settimane al commissario e al Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, per richiamare l’attenzione sul rischio di perdita delle razze suine autoctone italiane e di molti allevamenti estensivi, a seguito delle norme di gestione della Peste Suina.

L’incontro ha posto il tema cruciale: come affrontare la gestione della Peste Suina Africana in allevamenti estensivi, che spesso allevano razze autoctone rare o incroci, e che presentano livelli di rischio diversi rispetto agli allevamenti intensivi?

Un’ulteriore espansione della Peste Suina metterebbe a rischio tali realtà, più di quanto sia già avvenuto nei mesi scorsi. Gestire la situazione usando lo stesso approccio, le stesse misure severe impiegate nei mesi passati, porterebbe alcune razze autoctone all’estinzione e causerebbe ulteriori chiusure di molti allevamenti estensivi, biologici, di piccola dimensione, tra i quali ci sono anche Presìdi Slow Food. Così è infatti successo, ad esempio, in Calabria, nell’area dell’Aspromonte, dove la produzione del Capicollo azze anca grecanico si è praticamente fermata. Per questo, Slow Food Italia ha stimolato un dialogo costruttivo e propositivo tra i nostri tecnici e il Ministero, per tentare di sollecitare un approccio efficace nella gestione della Psa anche per allevamenti di piccola scala ed estensivi.

Suino nero pugliese, Presidio Slow Food

Il commissario Filippini ha dimostrato apertura alle richieste, avanzando anche la proposta di una collaborazione concreta: «Ora, in un momento di relativa pace, ci sono le condizioni per rivedere le misure di sicurezza degli allevamenti.  Le misure da mettere in campo non possono essere le stesse negli allevamenti intensivi ed estensivi – continua Filippini – adesso possiamo valutare nuovi indirizzi normativi per gli allevamenti semi bradi e lo dobbiamo fare rapidamente. Mi spaventano infatti quegli allevatori che ancora oggi stanno sottovalutando il problema: se arriverà la Peste Suina in allevamenti non a norma, questi dovranno chiudere. Infatti la malattia ha dimostrato di spostarsi non solo per contiguità territoriale e a causa della fauna selvatica ma anche facendo dei “salti”. In passato si è parlato molto dell’importanza della biosicurezza, ma non ci siamo mai veramente preparati. Molti allevamenti non erano e non sono protetti a sufficienza, dobbiamo esserne consapevoli. Le recinzioni, ad esempio, sono indispensabili e fuori discussione, e la Ue le richiede fisse, non solo elettrificate».

La proposta rivolta ai tecnici che collaborano con Slow Food e con le altre associazioni che hanno presentato unitamente l’appello, è di collaborare al miglioramento del manuale operativo che supporta i tecnici nella compilazione delle check list di valutazione del rischio dell’allevamento, tenendo in considerazione le differenze degli allevamenti di minore capacità (meno di 300 capi) e semi bradi rispetto ai grandi allevamenti intensivi, arrivando così a modificare la check list degli allevamenti “a bassa capacità-semibrado”.

La questione che più preoccupa gli allevatori in estensivo è, infatti, la possibilità di operare riducendo al minimo il rischio di contagio adottando le misure di biosicurezza previste dalla norma (doppia recinzione di cui quella esterna in griglia elettrosaldata).

«Fino a che gli animali sono sani, anche nelle zone di restrizione, se si seguono le misure di biosicurezza rafforzata, gli allevamenti possono operare. Se entra il virus nell’allevamento, però, oggi non possiamo fare altro che abbattere i capi» continua Filippini.

L’incontro è stato franco e concreto, la disponibilità del Commissario, per quanto di sua competenza, è stata indiscutibile. Non è però in capo a lui la tutela del patrimonio zootecnico autoctono. Non spetta a lui anticipare i pericoli e fornire mezzi, tecnici e strutture, per mettere in sicurezza i riproduttori delle razze locali che non hanno l’attenzione di un proprio organismo di tutela, come nel caso della Cinta senese, il cui consorzio si sta attrezzando per tutelare i propri riproduttori anche spostandone alcuni su un’isola toscana, al sicuro da qualsiasi contatto.

Come ha raccontato in un intervento molto intenso Margherita Vanni, allevatrice a Peccioli (Pi) e vicepresidente del Consorzio di Tutela della Cinta senese Dop, prima firmataria a nome del consorzio dell’appello lanciato nelle scorse settimane a Cagli «io sento fortemente la responsabilità di salvare questa razza che è allevata da sette secoli in Toscana, non voglio essere tra i responsabili della sua scomparsa». La Cinta senese, un suino scuro con una fascia rosa che lo cinge, da cui il nome, è presente infatti nell’affresco dell’Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo, dipinto nel ‘300 da Ambrogio Lorenzetti che si trova nel Palazzo Pubblico di Siena. È una razza iconica, un esempio riuscito di quarant’anni di recupero e valorizzazione dei derivati delle sue carni, eccellenti perché legati a un allevamento semi brado che conferisce alle carni consistenze e aromi unici. Gli allevatori sono una sessantina. Se arrivasse la Peste Suina sarebbe un disastro: a rischio non sarebbe solo la biodiversità animale, ma anche una realtà economica diffusa e fiorente. Come affermate e solide sono le realtà dei Presìdi italiani, molti dei quali fondati sulla lavorazione di carni di razze suine autoctone: dalla Mora Romagnola al suino Nero dei Nebrodi, dal Nero di Parma al Suino Sardo, di recente uscito dall’incubo della Peste Suina durato ben 45 anni sull’isola.

L’appello è stato inviato anche al ministro Lollobrigida, al cui ministero fa capo in ultimo la tutela della biodiversità nazionale per chiedere un maggiore e più concreto contributo. Infatti, solo poche razze autoctone rare possono contare su associazioni e consorzi strutturati, come ad esempio la Cinta senese, le altre, date le poche risorse e i pochi allevatori, hanno bisogno di un’attenzione maggiore da parte delle istituzioni locali, regionali e nazionali.

Ne parleremo ancora nei prossimi mesi perché, come dice il commissario Filippini, «la PSA resterà con noi ancora per anni».

Nel frattempo Slow Food, in un momento così sfidante per questo settore, organizza nelle Marche, a Cagli (Pu), dal 25 al 27 aprile, Distinti Salumi, una manifestazione dedicata alla norcineria tradizionale di qualità, che si propone di riunire in due giorni di laboratori, mercato, incontri, i norcini artigianali italiani e i custodi delle razze autoctone, e grande spazio avrà nei dibattiti questo tema.

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