Osservatorio trimestrale di fiscalità immobiliare n. 4 - Assoimmobiliare

Compatibilità
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2. Giurisprudenza

2.1 Cass. Ordinanza 2 ottobre 2024 n. 25935 Aree edificabili – Destinazione a verde pubblico attrezzato – Assoggettamento ad IMU – Valorizzazione
Con l’Ordinanza n. 25935, la Suprema Corte, in linea con il proprio orientamento espresso in precedenza, ha affermato che:

(i)  il carattere edificabile del terreno ai fini ICI/IMU deve essere riscontrato alla luce del solo strumento urbanistico generale del comune (ai sensi degli artt. 2 del D.Lgs. n. 504/92 e 36 co. 2 del D.L. n. 223/2006);

(ii)  il vincolo di destinazione urbanistica a “verde pubblico”, così come l’inclusione da parte del piano regolatore generale di un’area in una zona destinata ad attrezzature e impianti di interesse generale, o servizi pubblici o di interesse pubblico, non esclude il carattere edificabile dell’area ai fini ICI/IMU, considerato che la destinazione prevista dal vincolo non è realizzabile necessariamente mediante interventi di carattere pubblico, ma può essere realizzata anche tramite iniziativa privata o promiscua pubblico privata.

Conseguentemente, la presenza dei suddetti vincoli incide soltanto sulla valutazione del valore venale dell’area e, quindi, sulla base imponibile.

Pertanto, ad avviso della Corte, deve essere disatteso il diverso orientamento secondo il quale non possono essere qualificate come fabbricabili le aree sottoposte dal piano regolatore a un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle trasformazioni del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.

Nel caso di specie, la sentenza della Commissione tributaria regionale impugnata dal Comune ricorrente non è conforme ai principi illustrati e deve essere cassata in quanto il giudice del gravame ha ritenuto che la fattispecie al vaglio fosse un’area assoggettata a vincolo di inedificabilità assoluta, da considerare non edificabile ai fini IMU.

2.2 Cass. Ordinanza 18 ottobre 2024 n. 27057 – Accertamento maggior valore – Imposta di registro – Adozione del metodo del c.d. “valore di trasformazione” – Perizia redatta ai fini del finanziamento bancario

Con l’Ordinanza n. 27057, la Cassazione affronta una controversia avente ad oggetto un avviso di rettifica e liquidazione emesso a seguito dell’accertamento di maggior valore della base imponibile ai fini delle imposte di registro ed ipocatastali, in relazione ad un atto di compravendita immobiliare.

Nel caso di specie, la società ricorrente denunciava la violazione e la falsa applicazione da parte della Commissione tributaria regionale: (i) degli artt. 43, 51 e 52 del D.P.R. n. 131/1986, in quanto la rettifica di valore risultava fondata, tra gli altri, su valutazioni del compendio non supportate dal suo reale stato di conservazione e/o dalle possibilità di trasformazione dello stesso riconosciute dalla normativa; e (ii) dell’art. 35, comma 23-bis del D.L. n. 223/2006, valevole con riferimento alla base imponibile dei trasferimenti immobiliari soggetti ad IVA, anche nell’ambito dei contratti soggetti a imposta di registro, secondo cui ai fini della determinazione del valore venale dei beni può tenersi conto della perizia di stima redatta con riferimento alla concessione di un mutuo bancario per l’acquisto dell’immobile, deducendo che la disposizione non potesse trovare applicazione nella fattispecie in esame in quanto il finanziamento risultava concesso in relazione alla trasformazione edilizia e agli interventi di recupero dell’immobile.

Ad avviso della Corte, i motivi di ricorso del contribuente sono infondati in quanto ai sensi dell’art. 51, comma 3 del D.P.R. n. 131/1986 l’avviso di rettifica del valore dichiarato può fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su altri elementi di valutazione, tra i quali può rientrare anche la perizia rilasciata ai fini della concessione di un finanziamento bancario e l’adozione del metodo del c.d. “valore di trasformazione” adoperato dall’avviso di rettifica, incentrato sulla  differenza tra il ricavato (valore dell’edificato) ed i costi necessari all’edificazione stessa (costi di trasformazione).

2.3  Cass. Ordinanza 18 ottobre 2024 n. 27093 – Caparra confirmatoria versata al preliminare – Risoluzione consensuale del contratto e restituzione della caparra – Rimborso dell’imposta di registro

Con l’Ordinanza n. 27093, la Suprema Corte ha affermato un importante principio in tema di rimborso dell’imposta di registro pagata sulla caparra confirmatoria in sede di registrazione di un contratto preliminare, nel caso in cui il contratto sia risolto consensualmente e venga prevista la restituzione della somma.

Nel caso di specie, in un momento successivo rispetto alla registrazione del contratto preliminare e al versamento dell’imposta di registro nella misura dello 0,5% della caparra confirmatoria ai sensi della nota all’art. 10 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986, le parti si accordavano per sciogliere di comune accordo il preliminare e stabilivano la restituzione integrale della caparra. Di conseguenza, il promissario acquirente chiedeva il rimborso dell’imposta di registro all’Agenzia delle Entrate, che negava la restituzione sulla base (i) del dato testuale della nota all’art. 10 citato, che consente di imputare l’imposta di registro pagata al preliminare solo all’imposta pagata al definitivo, mai stipulato nel caso di specie; e (ii) dei chiarimenti forniti dalla Circolare n. 37 del 1986, secondo cui “ove il contratto definitivo non venga posto in essere, le somme riscosse restano definitivamente acquisite all’Erario”.

La Corte accoglie il ricorso del contribuente e sancisce, sulla base di un insieme di argomentazioni relative all’unitarietà della tassazione del contratto preliminare con il definitivo, che sussiste il diritto al rimborso dell’imposta di registro pagata al momento del preliminare se il contratto definitivo non viene stipulato e viene prevista la restituzione della caparra, posto che la tassazione della caparra assume la peculiare ed eccezionale funzione di anticipazione dell’imposizione dovuta in relazione al definitivo, che rappresenta l’unica manifestazione di capacità contributiva espressa dalla sequenza dei contratti.

2.4  Cass. Ordinanza 23 ottobre 2024 n. 27499 – Rivalutazione beni d’impresa – Ripensamento – Mancato versamento imposta sostitutiva

Con l’ordinanza n. 27499, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti in merito al momento di perfezionamento della rivalutazione dei beni d’impresa, affermando che la rivalutazione si perfeziona solo in seguito al pagamento della relativa imposta sostitutiva.

Nel caso di specie, la società contribuente aveva indicato in dichiarazione gli estremi della rivalutazione di tre immobili effettuata in base all’art. 15 del D.L. n. 185/2008, senza però versare, a causa di un ripensamento, l’imposta sostitutiva dovuta per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso una cartella di pagamento con cui chiedeva la corresponsione dell’imposta, contro la quale la società aveva proposto ricorso.

La Corte di Cassazione, dopo aver ribadito le proprie posizioni già espresse in materia di rideterminazione del valore di acquisto delle partecipazioni di cui all’art. 5 della L. n. 448/2001, secondo cui ai fini della rivalutazione assume rilevanza l’assoggettamento a imposta sostitutiva del valore definito, cassa la sentenza impugnata e annulla la cartella di pagamento, ritenendo che il mancato pagamento dell’imposta impedisce il perfezionamento della rivalutazione.

2.5 Cass. Ordinanza 22 ottobre 2024, n. 27293 – Imposta di registro – Diritto di superficie – Terreni agricoli – Realizzazione di impianto fotovoltaico – Aliquota

Con l’Ordinanza n. 27293, la Cassazione è tornata a pronunciarsi sul regime impositivo degli atti di costituzione di diritti di superficie su terreni agricoli, confermando l’applicazione dell’aliquota prevista dall’art. 1, comma 1, della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986 (misura dell’8%, ratione temporis vigente, e oggi 9%).

In particolare, in continuità con i principi già espressi in precedenza (nn. 16495/2003, 22198, 22199; 22200, 22201/2019, 3461/2021 e 23489/2024), la Suprema Corte ha ritenuto non applicabile l’aliquota del 15%, posto che la costituzione del diritto di superficie non può seguire le regole dettate per gli atti che hanno per oggetto il trasferimento di diritti reali.

Infatti, è consolidato presso i giudici di legittimità il principio per cui il termine “trasferimento” contenuto nell’articolo 1 della Tariffa, Parte I, in questione è stato adoperato dal legislatore per indicare tutti quegli atti che prevedono il passaggio da un soggetto ad un altro della proprietà di beni immobili o della titolarità di diritti reali immobiliari di godimento. Il termine in questione non può essere riferito agli atti che costituiscono diritti reali di godimento, come il diritto di superficie, che non comportano il trasferimento di diritti ma piuttosto una compressione del diritto di proprietà.

2.6  Corte Cost. Sentenza 29 ottobre 2024 n. 171 IMU relativa agli immobili strumentali – Indeducibilità – Questioni di legittimità costituzionale – Infondatezza

La Corte Costituzionale respinge le censure di legittimità della norma riguardante l’indeducibilità dell’IMU dalla base imponibile IRAP (artt. 14 co. 1 del D.Lgs. n. 23/2011 e 5 co. 3 del D.Lgs. n. 446/1997), promosse dalle Corti di giustizia tributaria di Milano e Reggio Emilia, confermando l’orientamento espresso dalla medesima Consulta con la precedente sentenza n. 21/2024.

Riprendendo quest’ultima decisione, nella sentenza n. 171/2024 la Corte ribadisce la diversità del tributo regionale rispetto alle imposte sui redditi, che ne rende del tutto peculiare sia il presupposto impositivo, che la base imponibile, e non sindacabile la scelta del legislatore di considerare l’IMU un costo indeducibile. Conseguentemente non possono essere estesi all’IRAP i principi affermati dalla sentenza n. 262/2020, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 citato (nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 1 co. 715 della L. 147/2013), il quale disponeva la totale indeducibilità ai fini IRES dell’IMU sugli immobili strumentali per il periodo di imposta 2012.

Infatti, il principio della necessaria deducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali affermato in relazione all’IRES, non può essere traslato a un’imposta differente, dove la considerazione delle componenti negative segue un criterio diverso.

2.7  Cass. Ordinanze 29 ottobre 2024 n. 27862, 8 novembre 2024 nn. 28804 e 28810 – Finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione – Deducibilità integrale degli interessi

Con le Ordinanze nn. 27862, 28804 e 28810 la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti in merito all’ambito applicativo della disciplina di deducibilità integrale degli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione di cui all’art. 1 co. 36 della L. 244/2007.
Questa norma stabilisce che non rilevano ai fini dell’art. 96 del TUIR (e sono, pertanto, integralmente deducibili per i soggetti IRES) gli interessi passivi relativi a finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili destinati alla locazione per le c.d. “immobiliari di gestione”.

Ordinanza n. 27862
Nel caso in esame, l’Agenzia delle Entrate contestava la carenza del requisito soggettivo di “immobiliare di gestione” in capo alla società contribuente, richiesto ai fini della disciplina in esame, ritenendolo sussistente solamente in capo alle società di mera gestione immobiliare, ed agli immobili locati in funzione della politica di sviluppo dell’edilizia abitativa.

La Corte di Cassazione conferma la ricostruzione operata dalla Commissione tributaria regionale, che aveva correttamente qualificato la contribuente quale “immobiliare di gestione”, stante l’attività di affitto di azienda avente anche ad oggetto i locali di una galleria commerciale a soggetti che vi esercitano il commercio, in ragione della assoluta prevalenza della componente di gestione passiva degli immobili.

Ordinanze nn. 28804 e 28810
Nei casi esaminati dalle Ordinanze in esame, l’Agenzia riprendeva a tassazione gli interessi passivi dedotti dalle società contribuenti asserendo che (i) il finanziamento dovesse essere contratto specificamente per finanziare l’acquisto o la costruzione dell’immobile; e, in secondo luogo, che (ii) la locazione dovesse essere successiva al finanziamento stesso, in quanto la disposizione implica che il finanziamento occorra per procurarsi la disponibilità di un immobile da concedere successivamente in locazione al momento in cui viene contratto il finanziamento.

Tuttavia, la Suprema Corte confuta le tesi erariali in quanto ritiene che l’ambito oggettivo di applicazione della norma non vada limitato agli interessi passivi corrisposti su finanziamenti contratti esclusivamente per l’acquisto o per la costruzione degli immobili destinati alla locazione, trattandosi di limitazione che non trova alcun riscontro nel testo normativo. Ulteriormente, la Corte non condivide che il riferimento testuale a immobili “destinati” alla locazione vada inteso nel senso che quest’ultima debba essere successiva e, pertanto, conclude che è del tutto indifferente che gli immobili siano o meno già locati al momento della stipula del finanziamento.

2.8  Corte di Giustizia UE, sentenza del 7 novembre 2024, causa C-594/23 – Cessione di lotto sul quale sono state edificate le fondamenta di un fabbricato – Terreno edificabile – Assoggettamento ad IVA

Con la sentenza relativa alla causa C-594/23, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato il principio secondo cui la cessione di un lotto sul quale sono state già edificate le fondamenta, destinate a una successiva costruzione abitativa, si considera cessione di un terreno edificabile ai fini dell’IVA.

Nel caso di specie, una società danese aveva acquisito un terreno e, previo ottenimento dei permessi necessari, aveva intrapreso dei lavori di edificazione delle fondamenta, per poi rivendere i lotti ad un soggetto terzo che avrebbe completato la costruzione in esenzione da IVA. Secondo la tesi della contribuente, infatti, a seguito della costruzione delle fondamenta il bene era da considerarsi come “fabbricato” ai sensi dell’art. 12, par. 1, lett. a) della Direttiva 2006/112/CE. L’Amministrazione finanziaria Danese contestava il regime IVA applicato, sostenendo che l’oggetto della cessione fosse invece un terreno edificabile, da assoggettare ad IVA.

La controversia approdava quindi presso le corti di merito danesi e poi presso i giudici del Lussemburgo, a seguito del rinvio pregiudiziale avente ad oggetto la compatibilità delle disposizioni della Direttiva 2006/112/CE con il fatto che uno Stato membro considerasse la cessione di un fondo sul quale sono edificate le fondamenta quale vendita di terreno edificabile soggetta ad IVA.

La Corte di Giustizia aderisce alla tesi erariale, ritenendo, nel caso di specie, che la presenza delle sole fondamenta non sarebbe tale da considerare il bene come un “fabbricato” ai sensi della Direttiva citata. Ad avviso della Corte, affinché possa considerarsi “fabbricato” il bene deve essere oggetto della “prima occupazione”, inteso come primo uso da parte del proprietario, in quanto momento determinante per la fuoriuscita del bene dal circuito produttivo per entrare nel “settore del consumo”.

2.9  Cass. 13.12.2024 n. 32255 Cessione di fabbricato con maggior cubatura – Riqualificazione in cessione di area edificabile – Plusvalenza non imponibile

La Suprema Corte ha affermato che non è possibile riqualificare la compravendita di un fabbricato in relazione al quale sia stata stipulata una convenzione per la sopraelevazione in compravendita di area edificabile, imponibile ai fini delle imposte sui redditi ex art. 67, comma 1, lett. b) del TUIR.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento al contribuente, mediante il quale contestava la mancata dichiarazione di una plusvalenza imponibile realizzata con la vendita di un fabbricato, posseduto da più di cinque anni, in relazione al quale era stata autorizzata dal Comune una sopraelevazione, riconducendo l’oggetto della compravendita alla cessione di un’area suscettibile di utilizzazione edificatoria. La Commissione tributaria regionale aveva condiviso l’impostazione dell’ufficio, affermando che in virtù della convenzione con il Comune, l’oggetto della cessione era un’area edificabile atteso che la volumetria maggiore necessariamente proveniva da un’area edificabile.

La Suprema Corte, in linea con il proprio consolidato orientamento, ha affermato che sono soggette a tassazione quali redditi diversi esclusivamente le cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione, e non anche di terreni sui quali insiste un fabbricato e quindi già edificati. Ciò vale anche qualora l’alienante abbia stipulato una convenzione per la sopraelevazione, con la conseguenza che non può riqualificarsi come vendita di un’area edificabile, anziché di un fabbricato.

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