A Illasi (Verona), Maurizio Tamellini ha recuperato esemplari plurisecolari di olivi di varietà autoctone: «Mi affascinano, è come sfogliare un libro di storia»
Questa storia comincia nel 1991, o forse quattrocento prima, e i protagonisti sono un uomo – Maurizio Tamellini – e un centinaio di piante di olivi dai nomi un po’ strani: Trepp, Favarol, Perlarol, Grignano, Casaliva. Oggi Maurizio ha 61 anni ed è il titolare dell’azienda agricola La Contarina, a Illasi (Verona), una ventina di chilometri a nord-est del capoluogo scaligero. Una vita fa, all’inizio degli anni Novanta, decise di prendere in affitto un terreno dove insistevano un centinaio di piante. «Olivi vecchissimi, piantati nel Seicento – racconta –. Erano in collina, in mezzo agli arbusti: sarebbe stato ragionevole toglierli, ma ero giovane e decisi di recuperarli. Pulii il terreno, tolsi il resto, li potai in maniera graduale, anno dopo anno. Oggi quegli olivi ci sono ancora».
Proprio per il suo lavoro di recupero di olivi secolari e di cultivar locali, Maurizio ha ottenuto la menzione speciale nella Guida agli Extravergini 2025 di Slow Food Editore. Questa la motivazione:
Maurizio Tamellini, titolare di La Contarina, ha trasformato un’antica dimora veneziana tra le valli d’Illasi e Mezzane (Verona) in un’azienda agricola che celebra le cultivar autoctone, come Grignano, Favarol, Trepp e Perlarol. Dal 1990, ha intrapreso il recupero del territorio con metodo biologico, dedicando tre anni alla liberazione degli olivi secolari dal bosco che li soffocava e riportando in luce sentieri antichi. La sua passione per la terra lo ha portato a essere riconosciuto nel 2020 come Presidio Slow Food per il recupero degli olivi secolari, simbolo di impegno e qualità.
Olivi che hanno visto le guerre
La verità, racconta oggi Maurizio, è che quegli olivi «mi affascinavano: li vedevo come i vecchi saggi che raccontano una storia. Hanno quattrocento anni, sono piante che hanno visto passare Garibaldi, gli austriaci, hanno superato due guerre mondiali… Chi li ha piantati avrà avuto le scarpe di legno, mentre ora noi andiamo a raccogliere le olive con le apparecchiature ad aria: piante così hanno una storia di adattamento ai cambiamenti del mondo così affascinante – dice – che toglierle sarebbe stato un delitto. Certo, nei primi anni non producevano un granché e anche ora non producono moltissimo, ma sono sani e belli e andarci a lavorare mi dà una grandissima gioia: è come entrare in un libro di storia».
Oggi le sue piante sono circa duemila, di cui quelle storiche (che hanno tra i duecento e i quattrocento anni) sono l’80%. La resa, spiega Tamellini, in media non supera il 10-11%, e l’anno scorso si è fermata intorno al 6-7%: «Un po’ per il clima, un po’ perché sono fatti così – spiega –, sono varietà selezionate per resistere al gelo e a questi ambienti. Non dimentichiamo che ci troviamo a nord del 45esimo parallelo».
Il suo lavoro lo definisce «orientato alla conservazione culturale del luogo, dell’ambiente e della tipicità», benché praticato con metodi attuali: «Un frantoio di ultima generazione e tecniche in campo che agevolano il da farsi, come ad esempio la raccolta con abbacchiatore elettrico».
Ma il successo non è solo un fatto di tecnologia: «Fondamentale aver provveduto all’inerbimento totale, che consente al suolo di mantenersi più umido anche nei momenti di siccità. Queste colline non sono munite di irrigazione e solo uno dei 14 miei oliveti riceve acqua artificialmente».
Parola d’ordine: blend
E gli oli? Tutti diversi. Qualcuno più aromatico, altri più leggeri, con note che vanno dai fiori di tarassaco e di margherita alle erbe aromatiche, dalla frutta bianca agli agrumi. Caratteristiche che consentono di sbizzarrirsi in frantoio: «Ho smesso di fare oli monovarietali – spiega Maurizio – perché se l’annata non è perfetta l’olio rischia di rivelarsi troppo dolce o troppo amaro. I blend aiutano a trovare l’equilibrio giusto, cogliendo le proprietà dei diversi oli, come il dolce Favarol che è in grado di smorzare l’amarezza del Casaliva nelle annate più secche».
Complessivamente, la produzione di olio dell’azienda agricola La Contarina oscilla tra i 35 e i 50 quintali di olio: «Un quantitativo che mi permette di raccogliere nei tempi (si comincia il primo ottobre con il Grignano) e di estrarre dalle olive le sensazioni che mi piacciono di più – conclude Tamellini –. Se ne avessi il doppio, finirei di raccogliere a novembre e i sentori dei miei oli cambierebbero». Ma l’olio preferisci produrlo o consumarlo, Maurizio? «In frantoio, lo assaggio ogni quarto d’ora – racconta –. Siamo in due a farlo e ci confrontiamo ininterrottamente: è un modo per testare le macchine, per verificare come sono le olive, per trovare i blend giusti…. e poi l’è anca bon!».