Il popolo siriano coabita con la guerra dal 2011, anno di inizio di un conflitto interno che ha causato la distruzione e la fuga di milioni di persone, oltre ad un elevato numero di vittime, feriti e sfollati. Nonostante l’alternarsi, negli anni, di fasi di apparente quiete e ricerca della stabilità, la situazione socio-economica e politica nel Paese resta molto complessa, anche dopo e sebbene il cambio di governo avvenuto nel dicembre del 2024.
Sono i numeri umanitari a mostrarne il peso: 16,5 milioni sono le persone che necessitano di aiuto secondo le più recenti analisi di OCHA -Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari- più di 1,5 milioni sono gli sfollati interni e più di 600 mila i rifugiati rientrati in Siria dalla fine dello scorso anno con la caduta del potere decennale di Bashar Al-Assad. Ancora oggi, gran parte della popolazione è senza una casa, senza accesso a servizi di base come cure mediche, acqua potabile, cibo ed educazione.
Un Paese nel mezzo di una crisi regionale
Il conflitto regionale in Medio Oriente, che da ottobre 2023 vede gli attacchi indiscriminati di Israele a danno della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e del Libano -oltre a diversi episodi condotti anche contro il territorio dello Yemen, dell’Iran e della Siria stessa- sta avendo ripercussioni sulla ricerca di un equilibrio politico e sociale interno siriano. Si è visto, in particolar modo, in occasione degli scontri, avvenuti nei mesi scorsi, tra la popolazione beduina e quella drusa nel sud del Paese, precisamente nella regione meridionale di al- Suwaida, ai quali ha fatto seguito un intervento militare israeliano con attacchi mirati, terminati, poi, con un cessate il fuoco tra le parti.
Le ostilità interne sono frequenti anche nelle aree costiere e nel Nord-est della Siria, episodi che hanno causato numerosi morti e feriti tra la popolazione civile, migliaia di sfollati e ingenti danni alle infrastrutture, comprese strutture essenziali come ospedali e scuole. A complicare ulteriormente questa crisi, l’accesso umanitario alle aree colpite rimane gravemente limitato, ostacolando gli sforzi per fornire aiuti alle migliaia di persone coinvolte.
Le difficoltà di ricostruire dopo anni di conflitto interno
Con la fine del conflitto decennale e il cambio di governo, la speranza di un cambiamento reale si è diffusa tra la popolazione siriana, sia in coloro che avevano trovato rifugio nei Paesi limitrofi come Turchia, Libano e Giordania, sia negli sfollati interni nei campi del Nord-Ovest della Siria, coloro che poi hanno fatto ritorno nei loro luoghi di origine.
Tuttavia, il rientro a casa pesa sul già fragile sistema economico del Paese. Nonostante si siano avviate iniziative di ricostruzione, i bisogni umanitari restano elevati ed allarmanti. “Dopo anni di guerra, gran parte delle strutture e infrastrutture sono state rase al suolo, gravemente danneggiate o rese inagibili. Se si potesse fare una scala di priorità di intervento, occorre partire proprio dal garantire un ritorno sicuro e degno alle persone sfollate, e al tempo stesso rispondere alle necessità umanitarie urgenti dei gruppi più vulnerabili”, racconta Vincenzo Merlino, a capo di diversi progetti INTERSOS in Siria.
Oltre alla penuria di strutture funzionanti, soprattutto in ambito medico, emerge una grave scarsità di personale specializzato; recenti dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimano che il 70% dei medici abbia lasciato il Paese dall’inizio della crisi siriana.
Dalla fine del 2024, i rientri dai Paesi limitrofi o dall’Europa e lo spostamento interno delle persone da una regione all’altra in cerca di migliori opportunità di vita, hanno fatto emergere come i bisogni delle comunità si rifanno al concetto di ricostruzione.
Il ritorno in Siria porta con sé il rischio di nuovi conflitti locali, come racconta Merlino: “Il conflitto siriano ha causato gravi danni anche rispetto al riconoscimento dei diritti di proprietà, i quali sono stati gravemente compromessi con violazioni diffuse tra cui: casi di occupazione illegale e confisca di proprietà, sfratti forzati e altre complicazioni dovute all’opacità dei processi e dei servizi istituzionali”.
Molti sfollati interni, infatti, non hanno la documentazione adeguata per far valere i loro diritti di proprietà. L’accesso alle case e le dispute tra popolazione sfollata e popolazione residente, inoltre, sta diventando anche motivo di conflitto legato a implicazioni sociali, identitarie e di appartenenza religiosa.
A questo si aggiunge anche una discriminante di genere, le norme legali consuetudinarie, infatti, spesso impediscono alle donne di accedere ai diritti di proprietà, esponendole ancora di più ad episodi di violenza e allo sfruttamento domiciliare o lavorativo. Il conflitto ha radicato e fortificato queste pratiche escludenti, rendendo difficile per le donne la protezione e la rivendicazione dei propri diritti.
La violenza di genere, la disoccupazione e l’instabilità sociale
Il limitato accesso ai beni di prima necessità espone, inoltre, donne e bambine a rischi diffusi di violenza di genere e sfruttamento. Violenza che colpisce anche gli uomini: “Negli ultimi due mesi abbiamo assistito a un aumento del numero di uomini che hanno cercato supporto psicologico presso i nostri centri”, racconta Merlino, “questo è un segnale importante. Parlare della violenza che gli uomini subiscono durante i conflitti, incluse le torture nei centri di detenzione, rimane ancora un argomento difficile. Esiste infatti un forte stigma sociale nelle comunità, che rende complicato identificare e gestire questi casi.”.
La somma degli elementi che compone il problema della sicurezza e stabilità interna, include anche la presenza sul terreno di una moltitudine di ordigni inesplosi, la presenza di gruppi armati, la mancanza di posti di lavoro, lo sfruttamento lavorativo e i salari insufficienti. Ricostruire la vita in Siria risulta estremamente difficile. Le famiglie seguite da INTERSOS nei governatorati di Hama ed Idlib, tra le aree più distrutte dalla guerra decennale, hanno segnalato condizioni di vita difficili, in particolare donne e giovani hanno paura e incertezza quotidiana, legata alla difficoltà di accesso ai servizi e alla loro sicurezza.
La presenza di diverse comunità religiose che convivono in un territorio ancora segnato dagli anni del conflitto e da una distruzione profonda, sia strutturale che sociale, rende complesso il lavoro delle organizzazioni umanitarie.
INTERSOS è presente nei governatorati di Hama, Idlib e Rif di Damasco per fornire supporto psicologico, assistenza legale, accesso all’educazione e intervento immediato con distribuzione di beni primari per gli sfollati interni, oltre a fornire assistenza medica attraverso un approccio integrato. “Nelle aree più isolate dei tre governatorati, raggiungiamo i pochi centri di salute primaria presenti sul territorio e lì cerchiamo di seguire le persone sotto diversi aspetti: dalle cure mediche ai bisogni di protezione, fino a percorsi di cura per la salute mentale”, dice Merlino.
La povertà che dilaga nel Paese
Esiste una chiara intersezione tra lo scarso accesso ai servizi di base e la maggiore esposizione ai rischi di protezione psicologica e fisica. Il comune denominatore è di tipo economico. La povertà di gran parte delle comunità incide sulla loro esclusione al godimento dei diritti fondamentali come il potersi curare, studiare e lavorare.
Il team INTERSOS sul campo ha condotto un’analisi per capire i bisogni e le condizioni economiche delle aree di intervento: “Da una recente indagine che abbiamo condotto con oltre 400 famiglie, il 32% di loro ha dichiarato di non avere alcun percettore di reddito. Mediamente vivono con un corrispettivo di circa 85 euro, quando la spesa media mensile di una famiglia ammonta a circa 180 euro”, spiega Merlino.
Un deficit economico enorme che coinvolge il 78% delle famiglie raggiunte e che potrebbe risultare ancora più alto, considerato che il numero degli abitanti è aumentato considerevolmente negli ultimi mesi per via dei rientri.
In conseguenza a questo, INTERSOS segnala anche un preoccupante fenomeno di abbandono scolastico e lavoro minorile: “Nelle comunità dove lavoriamo spesso i bambini maschi iniziano a lavorare molto presto, soprattutto se nei nuclei familiari non c’è più la figura paterna. Mentre le bambine sono esposte a rischi di matrimoni precoci e abusi ”, racconta Merlino. Per questo motivo gli operatori e le operatrici INTERSOS da tempo svolgono attività di educazione formale e informale nelle scuole, di socializzazione con i minori a rischio e con le loro famiglie, per cercare di mitigare i rischi di abbandono e agevolare un ritorno a scuola.
Nonostante siano molte le priorità di intervento umanitario -dall’accesso ad una casa e a beni primari, fino ad avere la possibilità di poter studiare- agire per la ricostruzione del sistema sanitario e per garantire la centralità della protezione dei civili nei processi di ricostruzione, sono tra le azioni necessarie da compiere in un Paese che cerca ancora stabilità e pace interna. Per un popolo affaticato e segnato da anni di conflitto, da fughe, da violenze e negazione dei diritti fondamentali.