Lunedì 18 agosto
Comincio questo diario parigino 24 giorni prima della partenza. A tenere il conto alla rovescia per me è una piattaforma messa a disposizione dall’Università per facilitare la transizione tra i due mondi. Transizione per nulla facile, va detto, e per quanto utile, la piattaforma stessa contribuisce a creare una certa sensazione di sconforto: non sembra esserci nulla di facile nel varcare il confine tra l’Italia e la Francia, neanche quando lo si fa nell’era della globalizzazione e della digitalizzazione.
Certo, probabilmente farlo cinquanta, cento anni fa doveva essere ancora più complesso, ma il fatto di disporre di una connessione internet e di poter sistemare tutte le faccende burocratiche a distanza non rende queste ultime più simpatiche.
Feel Français, “sentirsi francesi”, così si chiama questo valido ausilio digitale, in una rigorosa declinazione esclusivamente maschile che mi strappa un leggero sorriso. Secondo il mio assistente al trasloco, per sentirmi francese devo, oltre a farmi crescere la barba:
- trovare un alloggio a Parigi (semplice quanto può esserlo aggirarsi tra gli scaffali di un supermercato di sabato sera, dopo due giorni di chiusura per feste)
- fare un’assicurazione sulla casa e sulla persona (nel caso mi venisse in mente di ferire qualcuno, o di farmi derubare dei miei striminziti averi stipati in 14 m² al costo di un rene)
- aprire un numero di telefono francese
- aprire un conto bancario francese
- attivare un contratto elettrico
- pagare la contribuzione studentesca e iscrivermi all’Università per ottenere il certificato
- fare un abbonamento per studenti ai trasporti (ah no, non posso, superati i 26 non sei più considerabile studente ma solo vecchia ciabatta, e paghi il prezzo intero, ecco il secondo rene che se ne va)
- chiedere l’aiuto statale al pagamento del contratto d’affitto (da attivare solo dopo che si sono completate tutte le formalità precedenti, altrimenti col cavolo che te lo danno; e anche così, se fai due o tre preghiere in mezzo è meglio)
- trovare uno studente magnanimo che voglia farmi da guida nel ginepraio del sistema universitario francese
Inutile dire che gli ultimi tre mesi della mia vita sono stati costellati da assolvimenti burocratici; o meglio, i primi due sono stati investiti nella disperata ricerca di un luogo dove dormire che non fosse sotto un ponte o a due ore di treno da Parigi; l’ultimo è trascorso ringraziando ogni divinità esistente per avermi benedetta con un compagno delle superiori che vive in una casa parigina con una stanza disponibile.
In tutto ciò, ancora francese non mi ci sento particolarmente, nonostante le numerose chiamate passate a decifrare accenti parigini e a spiegare, in un francese scolastico un po’ arrugginito, le mie esigenze al personale di numerose residenze universitarie, enti di garanzia internazionali (perché sì, se non paghi un garante niente casa, ti accontenti del ponte), segreterie dell’università e compagnia bella.
Non molto emozionante come primo approccio con Parigi, lo riconosco, ma in fondo i diari servono a questo, a raccontare la realtà per quello che è; che, nel caso di Parigi, è per lo più un misto di ansia per i soldi che vanno in fumo a ogni passo che ti avvicina alla città (e ancora non ci sono arrivata, figuriamoci) e di aspettativa per quello che poi troverai dall’altra parte. Tipo trenta minuti di metro per arrivare in facoltà; alle sette del mattino; quando la prenderanno altri milioni di parigini; uno spettacolo.
Ma anche l’Università, la prestigiosa École nationale des chartes, alla quale se tutto va bene dovrei essermi correttamente iscritta, ma lo sapremo davvero solo alla riapertura dalla segreteria dalle vacanze, perché i francesi prendono molto sul serio le vacanze (stay tuned per gli aggiornamenti, potremmo scoprire che in realtà tutta la fatica di questi tre mesi è stata vana; e in quel caso, potrò comunque sentirmi francese per essere sopravvissuta alla burocrazia).
Piccola nota positiva in questo ginepraio: vado a studiare a Parigi. Cioè, Parigi, non so se l’ho scritto abbastanza volte; Parigi, la città dei miei sogni di bambina, quella che ho visto una volta, vent’anni fa, e non ho mai smesso di sognare da allora. Parigi, la città dei croissant e del pain au chocolat (entrambi a base di burro come tre quarti della cucina francese, che per un’intollerante al lattosio è il massimo).
Direi che se la vale tutta questa fatica. Forse. Lo scopriremo. Dipende se sopravvivo alla metro. E al burro.
Acronimi
Mercoledì 20 agosto
Per il momento nessuna risposta dall’Università, quindi sono ancora una studente fantasma della prestigiosa scuola francese. Della quale mi sembra comunque giunto il momento di dire qualcosa: mi trasferisco a Parigi per studiare all’ENC – PSL, precisamente per svolgere il mio M2 in HN e scrivere la mia tesi in TAL. La scuola si trova nel II arrondissement, proprio davanti alla BnF e si occupa in generale di SHS. Mica male, no?
Sempre se ci avete capito qualcosa, visto che i francesi hanno questa bizzarra e irritante passione per gli acronimi: l’École nationale des chartes diventa dunque ENC, ed essendo parte della più grande università Paris Science Lettres si becca anche il complemento dopo il trattino, sempre rigorosamente in acronimo; la magistrale diventa M con un numero accanto a indicare l’anno; Informatica umanistica diventa HN, ovvero Humanités Numériques, nella quale si studiano scienze umane e sociali, SHS, e tra le altre trattamento automatico del linguaggio, TAL, che poi è quello che interessa a me; e poiché molte delle lezioni si svolgeranno davanti alla famosa Bibliothèque nationale de France, mi sembrava carino regalarvi quest’altro bell’acronimo incomprensibile.
Pensate quanto è stato divertente, da studente straniera, essere alle prese non solo con un’altra lingua e un altro sistema universitario, ma pure con la decifrazione di cose abbastanza essenziali come il nome della tua università o del tuo corso di laurea.
A fine luglio (prima delle eterne vacanze estive francesi) ho ricevuto dalla segreteria dell’ENC – e in effetti si fa prima a scriverlo così, gli va riconosciuto – il calendario didattico delle lezioni. L’ho aperto tutta contenta, curiosa di sapere cosa mi aspettava: e mi sono trovata davanti un sacco di AP1, AP2, e una serie di altri codici ai quali ancora non sono riuscita a dare un significato, neanche con l’ausilio del magico GPT (ah, un altro acronimo, e questa volta non francese!)
L’unica cosa che ho capito con sicurezza è che dovevo pagare la contribuzione studentesca per finalizzare l’iscrizione, e solo perché sono stati così gentili da sciogliere l’acronimo CVEC in Contribution vie étudiante et de campus (nel caso foste nella mia stessa situazione, prego. Scommetto che non è stato facile trovarlo).
Immagino che alcune cose diventeranno più chiare una volta che sarò lì, ma ora come ora mi chiedo cosa ci trovino di bello in tutti questi acronimi. Forse il fascino mi sarà rivelato quando diventerò a tutti gli effetti una parigina; e prenderò la RATP e la RER per andare a visitare il MDL; o mi recherò al CAF per chiedere l’APL dopo aver fatto tappa al CNAC.
Alcuni di questi acronimi sono veri, a proposito, altri no. Vi lascio con il dubbio di quali. Io, nel frattempo, mi impegno a collezionarli tutti. Come i Pokémon.