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Questa settimana di diario è un po’ particolare: comincia gli ultimi giorni di ottobre, ma poi fa un salto direttamente alla seconda settimana di novembre. In mezzo ci sono diversi piacevoli giorni di ritorno a casa, che non ha senso raccontare sia perché siete qui per leggere un diario su Parigi e non su Pisa, sia perché sono stati giorni di pigro e dolce riposo che preferisco custodire per me. Vi lascio dunque a questa strana settimana doppia, sperando possa rivelarsi interessante nonostante – o forse proprio grazie a – la sua strana natura.
Esplorando la cultura coreana
Lunedì 27 ottobre 2025
Come forse ricorderete, per soddisfare i requisiti del mio piano didattico parigino (e per curiosità personale, va detto) mi sono iscritta a un corso di lingua coreana A1. Per il momento sono in grado di dire molto poco, a parte “buongiorno” e “grazie”, e ancora stento a leggere in maniera fluida i caratteri dell’alfabeto hanguel; il fascino di questa cultura incontrata per caso, però, continua a sedurmi, rafforzato dalla possibilità di cominciare a capirne qualche sfumatura linguistica, e dunque oggi ho deciso di regalarmi un’escursione al Centre Culturel Coréen de Paris per conoscere meglio la Corea e la sua storia, nonché alcune delle sue espressioni artistiche e letterarie.
Il Centro si trova vicino alla stazione di Saint-Lazare, nel IX arrondissement, ed è ospitato in un bel palazzo di diversi piani in pieno stile parigino, dentro il quale si snodano mostre ed esposizioni per tutto il corso dell’anno. In questo periodo si possono visitare la mostra Le pouvoir de parler, dedicata alla letteratura della Corea del Sud, in particolare ai movimenti letterari di denuncia politica e sociale, e l’esposizione Couleurs de Corée, Lumière sur l’art contemporain coréen, il cui nome rivela già il cuore del suo contenuto, ovvero un viaggio alla scoperta dell’arte contemporanea del Paese.
Sono stata accolta da una gentilissima receptionist coreana che mi ha spiegato, con qualche inchino e un bellissimo sorriso, come funzionavano le esposizioni e le attività del Centro, e che mi ha accompagnata fino al piano della mostra letteraria per assicurarsi che tutto fosse ben in ordine per la mia visita. Ho avuto la mostra tutta per me quasi l’intera permanenza, cosa che mi ha permesso di leggere con calma i pannelli e sfogliare i libri presentati, alcuni in francese e altri in coreano.
Solo alla fine sono stata raggiunta da un gruppetto di ragazze francesi appassionate dei BTS (dettaglio che sono riuscita a carpire orecchiando le loro conversazioni sovraeccitate), arrivate lì come per me conoscere meglio questa cultura ma forse anche per ritrovare cenni della loro passione musicale; hanno portato brio e chiacchiere alla sala, e le loro voci mi hanno seguita anche nell’esplorazione della mostra dedicata all’arte contemporanea, nella quale mi sono persa tra quadri e sculture perturbanti e memorabili.
All’uscita mi è rimasta impressa una forte sensazione di benessere e serenità, intaccata solo dal diluvio universale che mi ha investita e che mi ha costretta a una bella corsa e a una serie di frastimi poco velati verso la me che poche ore prima aveva deciso di uscire di casa senza ombrello per “viaggiare più leggera”. La mattinata mi ha inoltre suscitato un’enorme voglia di studiare e apprendere di più di questa cultura, e penso continuerò la mia esplorazione leggendo alcuni dei titoli proposti dall’esposizione letteraria; cominciando da Coniglio maledetto di Bora Chang, raccolta di racconti che si inserisce in un filone di contestazione politico-letteraria contro le derive capitalistiche che stanno investendo la Corea del Sud (e non solo, mi spingerei a dire), filone che sta vedendo una forte spinta propulsiva anche grazie alle nuove generazioni di scrittrici e scrittori impegnati.
Vi saprò dire presto se si dimostra all’altezza delle aspettative.
Il plurilinguismo ha effetti strani sul cervello
Giovedì 30 ottobre 2025
In questo periodo parigino mi capita spesso di leggere, parlare o ascoltare cose in tre lingue diverse: a lezione, a casa mentre studio gli articoli per la tesi, nei momenti di pausa trascorsi con colleghi internazionali, la mia quotidianità diventa sempre più un mélange tra francese, inglese e italiano, al punto che spesso non mi rendo conto di quale lingua sto producendo.
E non dico tanto per dire eh, è proprio quello che mi succede: se sto ascoltando una lezione in inglese, prendendo appunti in italiano (lo so, questa è già di per sé una cosa discutibile, ma le mappe mentali vengon meglio per ora nella lingua materna) e una collega mi chiede una cosa in francese, mi capita sempre più spesso di rispondere senza star troppo a pensare a quale lingua sto usando; comincio a parlare e solo dopo qualche parola realizzo che sto producendo del francese anche se la mia testa stava continuando a funzionare nello strano ibrido inglese-italiano.
E la stessa cosa mi succede mentre leggo, che so, degli articoli accademici e mi rendo conto di passare da una lingua all’altra solo perché i miei appunti mostrano bizzarri intrecci di franco-inglese-italiano. Non vi dico la confusione che questo causa nei miei taccuini, che a ben pensarci sarebbero probabilmente un ottimo campione per uno studio sui primi stadi di sviluppo di una schizofrenia acuta.
La cosa che mi consola, in questa confusione linguistica e per forza di cose anche mentale, è che sembro non essere la sola in questa situazione. Stamattina a lezione parlavo con una collega italiana negli intervalli di esposizione del professore ed entrambe aprivamo l’interazione in francese per poi ricordarci, solo dopo qualche parola e con un certo sollievo, che potevamo benissimo parlarci in italiano.
Mi chiedo quali effetti avrà, a lungo termine, questa confusione mentale: mi troverò presto anche io, come molte persone che conosco che hanno fatto esperienze all’esterno, d’un tratto incapace di selezionare una parola nella giusta lingua quando parlo? Se dovesse capitarmi con l’italiano, ahimè, ne sarei davvero affranta: dopo tutta la fatica che ho fatto, da brava lettrice prima e da apprendista scrittrice poi, per collezionare le mie adorate parole, vederle affogare in un mare indistinto di plurilinguismo schizofrenico sarebbe davvero sconsolante. Guardiamo il lato positivo, però: ora sono in grado di prendere in giro la gente in ben tre lingue (e forse quattro, appena la mia competenza del coreano andrà un po’ più in là dell’alfabeto); c’è senz’altro di che divertirsi.
E a proposito di prendere in giro, piccolo bonus della giornata ed emblema della mia esistenza multilinguistica e multiculturale: questo pomeriggio in facoltà un francese mi ha spiegato, con un certo orgoglio e una certa boria, come funziona una caffettiera napoletana, con tanto di dimostrazione visiva (sì, si era portato la caffettiera e il caffè in facoltà e no, non abbiamo fornelli nella sala comune, ragion per cui gli avevo posto la legittima domanda “ma come fai a usarla?”, che ha generato tutta la spiegazione tecnica).
Non so se si tratta di un lampante caso di mansplaining o di marcata appropriazione culturale (poteva almeno fare la sua presentazione in italiano, già che c’era, gli avrei dato qualche punticino in più); fatto sta che, dopo la sua dimostrazione, è andato tutto contento a riscaldare dell’acqua al microonde e suppongo, ma non posso esserne certa perché purtroppo sono dovuta andare a lezione, che abbia pure offerto soddisfatto agli altri colleghi la sua versione discutibilmente francesizzata di un caffè napoletano.
Viva la multiculturalità (ma il caffè non si tocca)!
Vita da universitaria
Venerdì 7 novembre 2025
La giornata di oggi comincia con una riflessione, e una confessione: tornare a Parigi dopo una settimana di vacanza a Pisa è tutt’altro che facile e questo mercoledì, mentre sull’aereo terminavano gli ultimi controlli prima della partenza, mi sono scoperta a valutare intensamente, e seriamente, la possibilità di emulare Rachel nella famosa scena di Friends, mollare tutti i miei piani e correre giù poco prima del decollo per tornare a casa.
Purtroppo o per fortuna, ancora devo capirlo, la vita qui a Parigi si è finora rivelata curiosa abbastanza da vincere il desiderio di restare, anche se i giorni scorsi sono stati emotivamente intensi e il pensiero è andato molte volte a quello che mi sono lasciata dietro.
Ma helas, ormai siamo in ballo e quindi balliamo, e dunque stamattina mi sono scrollata di dosso la tristezza e mi sono preparata con cura per la prima lezione del corso Histoire et littérature, che mi ha portata fino al Campus Condorcet di Aubervilliers alla scoperta di un nuovo luogo e di nuova conoscenza.
La lezione sì è rivelata entusiasmante, la docente ha ricamato un quadro del suo seminario di ricerca capace di stimolare la mia curiosità di studiosa e aspirante accademica, e ora non vedo l’ora di entrare nel vivo di questa nuova esperienza di studio che mira a osservare la letteratura non solo come “creazione” ma anche come “oggetto del mondo”, capace di influenzare la realtà e da essa profondamente influenzato.
Alla fine della lezione ho deciso di trattenermi nella zona del campus per pranzo così da respirare un altro po’ l’atmosfera universitaria del luogo, e ho preso dunque posto a uno degli ultimi tavoli liberi del ristorante Le Clos – 93, frequentato principalmente dalle ricercatrici e dai ricercatori di scienze umane e sociali che lavorano qui. Con la mia nuova copia di Le Côté de Guermantes accanto – perché se faccio la studiosa a Parigi voglio farlo bene, aderendo dunque a tutti i cliché compreso quello di pranzare in un locale borghese in compagnia di Proust – ho ordinato un Pavé de saumon, che come recitava il menù era condito con lait de coco infusé citronnelle, riz parfumé et fondue de poireaux (latte di cocco infuso di citronella, riso profumato e fonduta di porri) e mi sono goduta il piacere di un buon pranzo immersa nella lettura e circondata da persone che parlavano di archivi, storia e ricerche letterarie.
Al ritorno, a bordo della metro 12 che ha attraversato l’intera Parigi per riportarmi a casa in quasi un’ora di tragitto, ho continuato a leggere circondata questa volta dalle grida festose di una classe elementare parigina in trasferta e dalla note di “Bella ciao” suonate a fisarmonica da un musicista itinerante; e mi sono scoperta a ringraziare Parigi non solo per la giornata decisamente fuori dall’abituale, ma anche per questo particolare momento di incontro tra la mia cultura e questa che sto imparando man mano a conoscere e apprezzare.