Caccia Ca’ Bugge, premio piatto dell'anno in Osterie d'Italia 2026

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In dialetto locale, il nome dell’insegna significa qualcosa come “butta in pentola che l’acqua bolle” e il loro minestrone alla genovese si è conquistato il premio piatto dell’anno nella guida Osterie d’Italia 2026

Fabio Seggi, cuoco dal 1990, aveva fondato con due soci l’Osteria dell’Acquasanta di Mele, sulle alture del Ponente Genovese. Locale che è tutt’ora selezionato nella guida Osterie d’Italia con merito, ma Fabio non è più in quella cucina da un po’ d’anni. A cavallo tra il 2015 e il 2016, quasi all’improvviso, esce dalla società. Con la moglie Laura Corleo si trova spiazzato: che fare ora che quella bella realtà che aveva contribuito a costruire con fatica e passione per lui era un capitolo chiuso?

Viene a sapere che il proprietario di un ristorantino a Campo Ligure, di là del Passo del Turchino, lungo l’autostrada A26 e verso il Piemonte, tra i boschi e i pascoli dell’Appennino ligure a una mezz’ora abbondante da Genova, vuole cedere l’attività. Ci pensa, ne parla con Laura e decidono di provarci, mettendoci sopra e dentro tutto quello che avevano. «A chi lo intestiamo?», si domandano i coniugi al momento dell’atto, e d’impulso eleggono a titolare il figlio Andrea, 18 anni appena compiuti. «Visto che stiamo facendo una pazzia facciamola fino in fondo». E, tanto per non smentirsi, chiamano il nuovo locale Caccia Ca’ Bugge, che in dialetto significa qualcosa come “butta in pentola che l’acqua bolle”. Un’insegna che, nonostante si riveli poi azzeccatissima per il tipo di osteria che stava nascendo, lì per lì non sembra certo una gran trovata di marketing per attirare i tanti che sfrecciano sulla trafficatissima autostrada lasciandosi Campo Ligure alle spalle, senza notarlo, a soli 3,7 chilometri dopo l’uscita per Masone. Luoghi che un tempo erano il riposo e il ristoro per chi attraversava le montagne prima che sorgessero le grandi vie d’asfalto, poi la base per gli operai delle industrie sorte nelle valli, molte delle quali decadute, oggi villaggioni un po’ abbandonati a sé stessi e attaccati a un’identità che sbiadisce con il tempo e la nuova modernità digitale.

Una passione di famiglia, dalla cantina alla cucina

Inutile dire che ad Andrea, figlio di cuochi e cresciuto in osteria respirandone l’aria da sempre, l’idea di partecipare in prima fila nella nuova impresa di famiglia allora suonasse più che naturale: «Ma ammetto che agli inizi sono stato un po’ testa di cavolo. Appena maggiorenne pensavo solo a uscire con gli amici, e non vedevo l’ora di riattraversare il Turchino dopo servizio per uscire con loro a divertirmi. Non è che dessi una grande mano anche se ero il titolare». Però se si respira un’aria quella alla fine diventa la tua aria, forse per sempre. Papà Fabio l’aveva già contagiato con la passione per il vino e la ricerca nelle cantine di tutta la Liguria e del Basso Piemonte: «Una cosa che ci è un po’ scappata di mano, perché abbiamo dovuto affittare un altro locale per metterci tutto il vino che compriamo». E per fortuna, perché guidati magistralmente da Andrea, da Caccia Ca’ Bugge si beve benissimo, si vedono i risultati della ricerca attenta tra i piccoli produttori più sostenibili, senza farsi mancare all’occasione qualche grande bottiglia, anche francese.

I gaudenti genovesi, già ben abituati, salgono fin lì forse più per il vino che per il cibo. Ma i foresti possono trovare una solida cucina tradizionale senza fronzoli e altissima nell’esecuzione, quella che conforta gli indigeni quando hanno voglia di casa e meraviglia gli altri con semplicità e capacità di stamparsi nella memoria. 

Piatti autentici e popolari, come il minestrone

Fabio e Laura in cucina sono un portento: mandili de sea al pesto, ravioli alla genovese cu’ u tuccu, la cima, bagnun di acciughe, coniglio alla ligure, trippa accomodata, tomaxelle o torta pasqualina, poi un minestrone alla genovese denso, ricco, profumato e delicato, che varia al variare delle stagioni, buono sia caldo fumante che tiepido e persino freddo: il piatto dell’anno per la guida Osterie d’Italia 2026, a suggellare anche la Chiocciola, assegnata per la prima volta in questa nuova edizione (disponibile anche in versione app). La pasta è tutta fatta in casa e gli ingredienti provengono solo da fornitori locali: un macellaio che ha ancora il mattatoio privato, i due verdurieri del paese, piccole pasticcerie dei dintorni per panificati, gelato e krumiri, i formaggi da mucche che pascolano sui quei pendii che si scorgono dalle finestre del locale. Potremmo citarvi i nomi di tutti, snocciolati con precisione e riconoscenza da Andrea, che intanto è diventato anche cacciatore di prodotti eccellenti. «Con papà si va in giro per cantine e aziende agricole, e adesso che anche il Piemonte è più vicino ci si va molto volentieri, perché in fondo siamo su un confine e ci piace proporre una cucina che sia tale, per cui mettiamo spesso in carta anche bollito misto, vitello tonnato, agnolotti…».

Il minestrone miglior piatto secondo Osterie d’Italia 2026

«Un posto fuori dal mondo che ti rimette al mondo», recita la guida, ed è verissimo. Andrea e Fabio confessano che il fatto di stare così prossimi a una delle autostrade italiane più martoriate da lavori e frequentissime code sia diventato un inaspettato vantaggio: la gente, ora che sa, invece di andare all’Autogrill si ferma da loro e si prende un’inaspettata pausa golosa, rigenerante, in un angolo quieto, pur vicino ma lontano anni luce dal caos e dalla frenesia d’asfalto a corsie ridotte. Un piccolo miracolo, che dopo pochi chilometri dal casello ti proietta magicamente in un’altra realtà, quasi come in un film. O come nel mitico spot con Ernesto Calindri seduto a tavola in mezzo al traffico, del quale non a caso campeggia un poster in sala: «Contro il logorio della vita moderna». 

Un locale a dimensione di paese

Gli inizi per il locale non furono semplici, la diffidenza incarnata nel carattere ligure non li ha favoriti nell’accoglienza in paese, e prima che si spargesse la voce di un posto così ne sono passati di anni duri, che però oggi ripagano con gli interessi. L’impresa famigliare, a cui si è aggiunta la cognata Giulia Pastorino – bravissima sia in sala, sia in cucina – ha retto bene e coglie i frutti. E intanto tutti si sono trasferiti a Campo Ligure, recentemente anche Fabio e Laura, così da non dover far avanti e indietro attraversando ogni volta il passo, notte e mattina. Adesso – ma forse meglio proferirlo ancora a bassa voce – si può dire che sono diventati “del paese” a tutti gli effetti. E han trovato la loro dimensione, insieme alla loro soddisfazione: tutto si percepisce nella serenità e nel calore dell’accoglienza, che si trasmettono anche nel tono di voce mentre li disturbiamo al telefono per una chiacchierata, nonostante sia chiaro dai rumori di fondo che mentre parliamo stanno scaricando cassette da un furgoncino, “cacciando perché bugge” in cucina, sistemando la sala.

Dopo gli ultimi riconoscimenti, a magari anche dopo questo articolo, diventerà sempre più difficile trovare posto da loro, anche in considerazione del fatto ci sono solo otto tavoli all’interno e altri cinque o sei fuori nella bella stagione. Magari un giorno si allargheranno nella casa a fianco, magari no, ma state tranquilli che il prezzo del minestrone non salirà. Ce lo conferma Andrea, che è inorridito quando qualche amico gliel’ha suggerito, «ora che è un piatto famoso». Tutto resterà autentico, popolare e semplicemente miracoloso (anche nei prezzi) com’è giusto, e bello, che sia. Ci mettiamo la mano sul fuoco.

Carlo Bogliotti, Carlo Petrini
Da La Stampa del 18 novembre 2025

L’Osteria Storica Morelli è recensita nella trentaseiesima edizione di Osterie d’Italia, la guida di Slow Food Editore che racconta i locali scelti in ogni angolo del Paese per la cucina territoriale autentica, la rigorosa selezione degli ingredienti e l’atmosfera. La guida è disponibile come app, in tutte le librerie e sullo store di Slow Food Editore con uno sconto riservato ai soci Slow Food.

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